Martedì, 27 Ottobre 2009 12:14

Su Sergio Romano e la sua "ora di religione"

Scritto da  Gerardo

Riceviamo e pubblichiamo la lettera in quattro punti di Giovanni Casadio, in cui lo "storico ed esperto del fatto religioso" manifesta e soprattutto argomenta il suo dissenso con quanto espresso da Sergio Romano nell’intervento dal titolo "L’ora di religione a scuola e l’insegnamento dell’Islam".



In riferimento alla “Risposta” di Sergio Romano “L’ora di religione a scuola e l’insegnamento dell’Islam” in CorSera di Mercoledì 21 ott. 2009, devo manifestare – in quanto storico ed esperto del fatto religioso – il mio assoluto dissenso.

Riassumo brevemente le opinioni espresse.
1. Il problema si presenterebbe in altri paesi d’Europa, tra cui la Germania.
2. A differenza di altri casi (“ortodossi, buddisti, induisti”) il numero dei musulmani in alcune scuole rappresenterebbe “spesso un quinto della classe”.
3. La chiesa cattolica sarebbe contraria all’insegnamento di “storia delle religioni” (auspicato da Romano, oltre che, in recenti interventi, da ebrei, protestanti e settori sensibili del pensiero laico, insegnamento che però chi scrive preferirebbe chiamare “scienza” o “studio” delle religioni: e non è differenza da poco) in quanto tale insegnamento collocherebbe tutte le religioni sullo stesso piano e sarebbe quindi un’espressione di “relativismo”.
4. “Quindi delle due l’una: o si cancella l’ora di religione o la si permette anche ai musulmani”.

1. In Germania ci sono quasi tre milioni di Turchi di cui 1,688,370 cittadini turchi e 840,000 di cittadinanza tedesca. E inoltre Indiani, Pakistani, Afgani, Iraniani. Nell’insieme i musulmani rappresentano il 5.4% della popolazione. L’insegnamento di religione, che non è opzionale ma obbligatorio (con l’eccezione di Berlino, Brema e il Brandenburgo; in certi Länder peraltro si può optare per l’insegnamento di etica) e confessionale, gestito dallo Stato in cooperazione con le chiese cattolica o evangelica (luterana). In nessuna scuola è previsto l’insegnamento della religione islamica in via confessionale (il che sarebbe peraltro impossibile in quanto non esiste una organizzazione ecclesiale con una gerarchia riconosciuta da tutti gli islamici). Nel nostro paese la situazione è totalmente diversa. Il numero di fedeli musulmani in Italia è incerto, varia da un massimo di 1.300.000, secondo le stime del Dossier 2008 Caritas/Migrantes, a un minimo di 850.000 secondo il CESNUR di Massimo Introvigne su dati 2006, ma si aggira certo attorno al milione di unità, corrispondente all'incirca all' 1,5% della popolazione italiana. Di questi solo 70.000 circa sono cittadini italiani. Il numero oscilla in funzione della definizione di "musulmano", ossia se siano da comprendere quanti provengano da paesi di cultura musulmana, o solo quanti si definiscano credenti e siano effettivamente praticanti. Gli Albanesi, che sono la seconda presenza islamica in Italia dopo i marocchini, sono di cultura musulmana, ma in gran parte atei o agnostici se non cristianizzati.

2. Solo se si considerano musulmani gli albanesi si possono avere classi con un quinto di allievi islamici. Se Romano o altri conoscono dati statistici diversi li esibiscano. Quello che io so invece per certo è che in Italia ci sono oltre un milione di Romeni (cristiani ortodossi al 86,7 %) e 132.000 Moldavi (ortodossi al 98%). In certi comuni del Lazio, del Piemonte o della Romagna essi sono presenti in forte concentrazione, perciò è un dato di fatto che in alcune classi una notevole quota degli alunni si riconoscono nella fede cristiana ortodossa. Non risulta che la Biserica Ortodoxă Română, ben presente in Italia a livello di episcopia, abbia chiesto ufficialmente l’insegnamento della religione cristiana di confessione ortodossa, o si stia movendo in questa direzione.

3. La chiesa cattolica si avvale del privilegio concessogli dallo stato italiano con la legge 25 marzo 1985 (cosiddetta revisione del concordato firmata da B. Craxi e A. Casaroli). Il cattolicesimo non è più “sola religione dello stato italiano” (come nei patti lateranensi del 1929), ma, essendo “i principi del cattolicesimo … parte del patrimonio storico del popolo italiano”, la chiesa propone nelle scuole pubbliche (e a spese dello stato italiano) un insegnamento della religione cattolica “culturale”, non catechetico, confessionale nel suo contenuto ma non nella sua finalità, aperto a tutti ma non obbligatorio. Il 10 % degli allievi che chiede di “non avvalersi di detto insegnamento” sono liberi di andarsene per i fatti loro. Il risultato è che sia i renitenti, sia il 90 % di studenti che riceve le lezioni di docenti nominati dall’autorità ecclesiastica (senza nessun controllo culturale da parte di organi competenti, come invece avviene in Germania o in Gran Bretagna dove gli insegnati hanno un diploma di stato fortemente qualificato) escono dalle scuole superiori senza avere acquisito una seppur minima conoscenza dei fatti religiosi, compresi quelli cristiani (di norma non hanno mai letto una pagina della Bibbia e neanche sanno i nomi dei 4 evangelisti). Il relativismo ratzingeriano qui non c’entra nulla: è il solito immobilismo italiano combinato a un intreccio di interessi, anche economici.

4. L’ora di religione ai musulmani? Un vero nonsense. A parte l’impossibilità pratica per la ragione che mancano organi centralizzati e le ragioni di ordine culturale che sono state esposte in vari autorevoli intereventi (i giovani a scuola devono apprendere la religione degli altri, semmai: la propria l’hanno già assorbita nella propria famiglia e comunità), IN ITALIA (come d’altra parte in altre parti d’Europa) il cattolicesimo non è solo la religione della stragrande maggioranza degli italiani ma anche, come recita il dettato del concordato, “parte del patrimonio storico del popolo italiano” e, in quanto tale, elemento imprescindibile della storia nazionale. Un scuola che non lo insegna, o l’insegna male, pregiudica gravemente la formazione culturale (non quella religiosa! che non è di competenza dell’insegnamento pubblico) dei nostri studenti in quanto cittadini italiani. E i risultati si vedono.


Giovanni Casadio

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